Il Santuario dedicato alla Immacolata Concezione di Maria Vergine, detto comunemente “Della Guardia” si colloca al di sopra dell’abitato di Ornavasso, a circa duecento metri dalla Chiesa parrocchiale di S. Nicolao, lungo la strada carrozzabile che conduce al Boden.
L’origine e l’edificazione del santuario si devono al canone per l’edilizia religiosa, definito dal Cardinale Carlo Borromeo, che fino ad oltre il XVIII secolo veniva usato in tutto il Ducato di Milano e quindi anche ad Ornavasso.
Il Santuario ’‘Della Guardia” prende il nome dall’altipiano omonimo su cui sorge, così chiamato ancor oggi a causa della presenza di una antica torre di segnalazione risalente ai primi anni del XIV secolo che faceva parte di un sistema difensivo di avvistamento composto da torri comunicanti visivamente fra loro. Le torri furono erette dalla famiglia dei Barbavara d’Ornavasso, feudatari di tutta la valle d’Ossola, per poter avvertire, mediante l’accensione di fuochi, tutte le popolazioni ossolane evitando in tal modo la sorpresa nel caso di attacchi da parte degli Svizzeri predoni che imperversavano in tutta la valle.
Sull’altipiano “Della Guardia” esisteva fin dal 1600 una cappelletta dedicata alla Beata Vergine. La tradizione popolare narra che una ragazzina obbligata dalla matrigna ad andare tutti i giorni a pascolare le pecore, a volte senza i necessari alimenti, abbia trovato davanti alla Sacra Immagine la quantità di pane sufficiente per la giornata. Inoltre la ragazza, muta dalla nascita, grazie al miracoloso intervento di Maria riacquistò il dono della parola.
Questo evento e molti altri fatti ritenuti miracolosi portarono il popolo di Ornavasso a voler erigere attorno alla cappelletta un “tavolato a foggia d’Oratorio”, creando così uno spazio coperto per potervi celebrare la messa.
La chiesa della Madonna della Guardia rappresenta la più importante testimonianza in stile barocco di tutta la zona.
I lavori per la costruzione della chiesa iniziarono nel 1674, su progetto dell’architetto e ingegnere della Collegiata di Milano Attilio Arrigoni. Il 12 maggio di quell’anno il parroco don Bartolomeo Jacchini benedisse la posa della prima pietra del santuario.
Gli interventi esterni per la costruzione si protrassero fino al 1772, con successive finiture interne, ma l’edificio rimase incompiuto.
Il Santuario è caratterizzato da una pianta a croce greca e presenta sia in pianta che nelle finestre e nei particolari decorativi, una forma ottagonale; la medesima forma ottagonale che si può ritrovare nella cupola.
Diverse e numerose furono le offerte degli abitanti del borgo per contribuire alla sua edificazione, fra le quali i terreni vicini.
Per quanto riguarda il progredire dei lavori, è noto che per l’estrazione dalla vicina cava denominata “Della Madonna” e la lavorazione nel marmo che servì per fare le basi delle lesene e delle colonne delimitanti il grande ellissi centrale, si impiegarono quindici anni.
I metodi e le tecniche costruttive usati si riconducono all’esperienza edilizia tradizionale della zona. Le parti strutturali murarie sono formate totalmente da conci di pietre irregolari legati da malta di calce e sabbia. L’uso di questi materiali, adoperati anche per la costruzione delle abitazioni del paese, era favorito dal fatto che la pietra si reperiva facilmente nella sovrastante montagna, e la calce, a differenza di altri paesi della valle, veniva ricavata dalle pietre calcaree (fatte cuocere in apposite fornaci) estratte dalle cave dette della “Kalmatta” e della “Ghirvo”, ambedue site nei pressi dell’abitato.
Nel 1701 iniziano i lavori di copertura, realizzati con enormi tronchi per l’armatura del tetto ed una notevole quantità di calce, sabbia e sassi che vengono portati a spalla dai devoti. Questi materiali dovevano servire anche per la costruzione della grande cupola ottagonale.
L’orditura primaria viene realizzata usando grossi tronchi di castagno selvatico abbattuti nei boschi vicini al cantiere. L’uso di questo tipo di legname viene favorito sia dalla notevole quantità presente nei boschi attigui, sia per le garanzie di resistenza e di durata che esso offre nel tempo.
Nonostante il materiale usato desse le migliori garanzie di tenuta, da alcuni documenti dell’Archivio Parrocchiale si desume che, giunti al termine preventivato dei lavori di copertura, i carpentieri, nel 1712, dovettero rifare alcune capriate a causa di dissesti statici. Tali dissesti potrebbero essere stati causati dal fatto che nel progetto originale, eseguito in Milano da un architetto milanese, l’orditura del tetto fosse prevista e dimensionata in modo da sostenere non una copertura in pietra, come è attualmente, bensì una normalissima, ed usuale in Milano, copertura in coppi laterizi o in rame. Conseguentemente il capomastro Nicolao Petigacia si assunse la responsabilità di mutare le proporzioni della cupola ottagonale e della struttura del tetto, eliminando la lanterna che doveva andare a terminare la parte centrale dell’edificio. Questa variante al progetto originale venne decisa per cercare di adeguare la struttura al sovraccarico che la copertura in pietra veniva a creare.
Terminata finalmente la copertura nel 1718, l’edificio si presenta, 42 anni dopo l’inizio della costruzione, senza porte né finestre, le pareti non ancora intonacate e nel coro si trova ancora la piccola cappella di legno con l’immagine della Beata Vergine dipinta sul muro, nella quale si continuavano a celebrare le funzioni religiose.
Fra il 1719 e il 1722, concluse le stabiliture del coro e del presbiterio, si rifinisce la grande volta centrale, ed infine si può togliere l’enorme ponteggio di legno di pioppo che da circa 16 anni si ergeva all’interno del Santuario.
La costruzione di una volta in mattoni di notevoli dimensioni in un borgo nel quale non vi è alcuna, o quasi, tradizione tecnico-costruttiva in laterizio riconducibile a tale presenza alimenta la supposizione, ma non se ne ha certezza, che per realizzare tale opera siano intervenute delle manovalanze estranee alla zona. L’uso stesso del mattone, scomparso dall’Ossola fin dall’epoca longobarda, fa supporre che esso venisse senz’altro importato dalla limitrofa Lombardia.
La volta del Santuario rivela essere costruita sicuramente da esperti. I mattoni posati di costa e legati con malta di calce raggiungono lo spessore di circa 30 centimetri, compreso l’intonaco; la solida struttura è ulteriormente rafforzata grazie a otto costoloni che, dipartendosi dagli angoli dell’ottagono, si uniscono nel suo centro.
Vista dall’interno dell’edificio, la volta ha forma ellittica a padiglione lunettato con al centro un affresco raffigurante l’Assunzione di Maria Vergine.
La superficie muraria rimanente, dipinta in bianco candido, contribuisce a far vibrare la luce, diffondendola omogeneamente in tutto lo spazio interno e dando all’ambiente un aspetto particolarmente mistico.
Sulle pareti erano esposti sei teloni raffiguranti rispettivamente San Pietro, San Paolo e i quattro evangelisti. Opere di notevole e ottima qualità di un maestro della pittura lombarda del sec. XVIII.
I lavori proseguono quindi con lo smantellamento dell’antica cappelletta, e con la costruzione, attorno alla Sacra Immagine di Maria, di un altare di legno ben intagliato ad arabeschi. L’altare ligneo di stile barocco e i cinque grandi quadri raffiguranti S. Pietro e i quattro Evangelisti sono attualmente conservati nel Museo Parrocchiale di Ornavasso.
L’interno del Santuario è, inoltre, abbellito da colonne a stucco marmorizzato lucido, ricollegabile al metodo utilizzato per lo stucco veneziano, ottimo esempio di imitazione del materiale. Anche i capitelli di ordine composito testimoniano l’abilità dei decoratori.
A partire dal 1746 si realizzano i lavori di pavimentazione dell’interno del Santuario utilizzando lastre di beola.
Nel 1763 si dà inizio alle fasi preparatorie per l’innalzamento dei due altari laterali, che vengono realizzati utilizzando diversi tipi di marmo non appartenenti però alle ricche cave ossolane, bensì provenienti da diverse parti d’Italia; troviamo infatti l’Occhiadino di Valcamonica, il Bradile di Bergamo, il Saravezza di Firenze, il verde di Varallo, il giallo di Verona ed altri. I due altari minori sono consacrati rispettivamente a S. Giuseppe quello ad occidente e a S. Anna quello ad oriente; presentano al centro un quadro d’ancona di notevoli dimensioni, raffigurante episodi di vita di detti Santi.
Durante il corso dell’anno 1765 vengono eseguite e messe in opera le sette finestre della cupola ottagonale. L’anno dopo si procede con i lavori realizzando un sopralzo alla piccola sacrestia esistente, dotandola di nuove stanze, così come il disegno dell’Arrigoni prevedeva.
Nel 1772 l’altare di legno intarsiato che adornava l’immagine della Beata Vergine viene sostituito da un altare in marmo nero, realizzato dal marmorino milanese Antonio Bignetti, e pregevolissimo esempio dell’abilità artigiana dell’epoca. E’ con quest’ultima opera che la parte più ingente dei lavori viene portata a termine (1774).
Tuttavia la parte esterna dell’edificio rimarrà incompiuta. Le parti mancanti sono essenzialmente i quattro corridoi esterni che dovevano permettere la comunicazione fra interno ed esterno in tutti i lati dell’edificio, parte della sacrestia, il pronao colonnato, il rivestimento marmoreo della facciata ed inoltre la lanterna sovrastante la cupola.
Nel 1884 la torre posta di fronte al santuario venne fornita di una campana del peso di 60 chili e dunque adibita a campanile.
Svariati furono gli usi a cui venne adibito il Santuario: anche in occasione di calamità naturali, la “Guardia” venne in soccorso agli abitanti i quali, nella notte del 5 ottobre 1839 a causa di una eccezionale inondazione che coinvolse tutto il paese, trovano in essa un rifugio sicuro grazie alla posizione elevata e per questo non raggiungibile dalle acque minacciose del fiume Toce.
Durante la Prima Guerra mondiale l’enorme spazio coperto viene utilizzato come ricovero per i militari italiani che nelle vicine montagne lavoravano per fortificare la zona, adottando la tattica di difesa ordinata dal Maresciallo d’Italia Luigi Cadorna. Questo uso venne di nuovo adottato nel secondo grande conflitto mondiale, prima dai militari e in un secondo tempo dai partigiani, che fecero dell’Ossola la prima, seppur breve, Repubblica libera italiana. A quest’ultimo periodo viene attribuita la scomparsa di parte dell’arredo sacro, in particolare di alcuni ex-voto tra i più antichi, che ricoprivano parte della superficie muraria interna.
Si può far risalire al 1896 l’inizio del declino economico del Santuario, a cui in breve tempo fece seguito quello delle strutture e finiture. Da qui un lento e progressivo degrado che, successivamente, viene ulteriormente favorito dal quasi totale abbandono che seguì alla chiusura del 1965. In questo periodo si verificano numerosi furti – vengono rubate addirittura le portine dei tabernacoli – a cui si aggiungono atti vandalici. In seguito a questi fatti viene presa la decisione di chiudere completamente l’edificio, murando anche le finestre e la porta della sacrestia.
Tratto dal volume Ornavasso: luoghi e memorie (1587 – 1987),
Comunità Parrocchiale di Ornavasso, Dicembre 1987
Nel 1990 viene redatto un progetto di recupero e restauro della Chiesa, affidato dal parroco Don Ermus Bovio all’architetto Gino Tamini e al geometra Pietro Comina.
Nel 1991, con il contributo della Regione Piemonte e del Ministero dei Beni Culturali, iniziano i lavori di recupero conservativo e di restauro, curato dalla Sovrintendenza dei Beni Architettonici e del Paesaggio del Piemonte.
I lavori sono affidati all’inizio alla Ditta Maciotta e in seguito alla Ditta Ienter di Torino.
Esiste presso l’Amministrazione Provinciale un progetto per il restauro del portone principale e delle aperture di sicurezza e per il recupero dei locali della sacrestia, al fine di completare l’opera e rendere agibile l’intero edificio.
Il progetto è in attesa di un finanziamento da parte della Regione Piemonte.
L’augurio è che questi ulteriori interventi possano essere realizzati entro breve tempo per consentire il reinserimento del Santuario della Guardia nel vivere quotidiano del paese con attività consone alla sua sacralità.